La Chaparral Cars è stata un'azienda automobilistica statunitense che ha prodotto prototipi da corsa dagli anni sessanta fino agli inizi degli anni ottanta. Prese il nome dal roadrunner, un veloce cuculo di terra conosciuto anche come chaparral bird.
Chaparral Cars | |
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Sede | Midland, Texas, USA |
Categorie | |
Campionato CanAm | |
Campionato del mondo sportprototipi | |
Champ Car | |
Dati generali | |
Anni di attività | dal 1960 al 1982 |
Fondatore | Hap Sharp e Jim Hall |
Direttore | Jim Hall |
Campionato CanAm | |
Anni partecipazione | 1966-1970 |
Piloti nel 1966 | |
Jim Hall | |
Phil Hill | |
Vettura nel 1966 | 2E |
Campionato del mondo sportprototipi | |
Anni partecipazione | 1965-1967 |
Piloti nel 1966 | |
Phil Hill | |
Joakim Bonnier | |
Jim Hall | |
Vettura nel 1966 | 2D |
La compagnia venne fondata da Hap Sharp e da Jim Hall per realizzare in proprio le vetture da corsa con cui avrebbero gareggiato nel campionato SCCA, dopo aver utilizzato nei primi anni di carriera vetture di altri costruttori, come Austin Healey e Lotus[1], Maserati e Lister[2]. Le risorse per questa impresa furono fornite da Hall, che in giovane età fu erede di una ricca famiglia di petrolieri[1] e che negli anni successivi aveva costruito un circuito di collaudo privato, il Rattlesnake Raceway[2]. Nel corso degli anni sessanta e settanta le singolari vetture da corsa Chaparral ottennero grande successo nelle gare disputate sia sui circuiti americani che su quelli europei. Nonostante la vittoria nella 500 Miglia di Indianapolis del 1980, la compagnia abbandonò il mondo delle corse due anni più tardi, nel 1982. Le vetture Chaparral hanno corso anche nel Campionato CanAm, nelle serie SCCA/CASC e nel gruppo 7 del campionato europeo organizzato dalla FIA.
La Chaparral è stata la prima casa ad utilizzare soluzioni aerodinamiche mai viste prima nei campionati per vetture a ruote coperte, come diffusori appositamente realizzati, o le strane linguette che si potevano osservare sui primi modelli delle Chaparral 2, o la sorprendente ala “flipper” che veniva comandata dal pilota, montata sulla Chaparral 2E, fino alla vettura più famosa fra quelle disegnate da Jim Hall, la 2J, soprannominata “l'aspirapolvere” per le sue ventole posteriori. La scelta, poi, sempre da parte di Jim Hall, di utilizzare cambi automatici o semi-automatici conferiva più libertà ai piloti per l'uso di dispositivi aerodinamici regolabili manualmente.
Lo sviluppo delle auto Chaparral è andato di pari passo con i cambiamenti che le auto da corsa hanno subito nel corso degli anni sessanta e settanta per ciò che riguardava l'aerodinamica e le gomme. L'esercizio e la pratica della sua professione avevano insegnato a Jim Hall ad affrontare i problemi in maniera analitica, e la messa in atto di alcuni cambiamenti fu possibile anche grazie alla sua collaborazione col gruppo di ingegneri della Chevrolet e della Firestone
La Chaparral 1 è stata la prima auto col marchio Chaparral e fu progettata e realizzata da Dick Troutman e Tom Barnes, progettisti di auto da corsa, che in precedenza avevano realizzato le vetture Scarab per il ricco gentleman driver Lance Reventlow e che erano alla ricerca di finanziatori per proseguire la loro attività[1]. Pertanto la Chaparral 1 fu sviluppata a partire dalla barchetta costruita per Reventlow nel 1957, conservandone il classico schema meccanico con motore anteriore, ma in un'ottica di riduzione dei pesi (le strutture surdimensionate della Scarab ne facevano una vettura molto affidabile), per aumentare la competitività[2].
Come propulsore era montato un V8 Chevrolet di derivazione Corvette, con cilindrata aumentata da 4,6 a 5,2 litri, che erogava la potenza di 300 CV ed era gestito da un cambio manuale Corvette a quattro rapporti. Il telaio in acciaio era del tipo spaceframe tubolare ed era ricoperto da una carrozzeria in alluminio. L'impianto frenante era formato da quattro freni a disco, mentre le sospensioni erano composte da doppi bracci trasversali, molle elicoidali coassiali con ammortizzatori Monroe e barre anti-rollio nella sezione anteriore e da doppie bracci oscillanti, molle elicoidali, ammortizzatori Monroe e barra anti-rollio in quella posteriore.
Jim Hall corse con successo con la Chaparral 1 nel corso degli anni 1961-62-63, mentre sviluppava già la Chaparral 2 a motore centrale. Dato che il design era abbastanza convenzionale, alcune delle cinque vetture vennero vendute ad altri team per ridurre i costi di gestione. È stata l'unica delle vetture Chaparral a gareggiare per privati al di fuori della compagnia. Il suo debutto sportivo avvenne alla 12 Ore di Sebring del 1961, dove si classificò seconda assoluta. Nei tre anni di attività, la 1 riuscì ad ottenere la vittoria di classe alla 12 Ore di Sebring del 1962 e al Gran Premio svoltosi sul circuito di Road America[2].
La Chaparral seconda serie venne disegnata e costruita per competere nel Campionato Statunitense Road Racing e in altre serie disputate allora, come la West Coast Series. Seguendo le idee innovative del canadese Bill Sadler e di Colin Chapman della Lotus, che aveva introdotto il motore montato posteriormente nelle Formula 1 in Europa (Jim Hall aveva gareggiato su quelle monoposto), anche questa vettura aveva un motore posteriore.
Venne usata in gara per la prima volta alla fine del 1963 alla 200 miglia di Riverside[3], ma venne ulteriormente migliorata e dominò le varie serie nel 1964 e nel 1965. Era una vettura appositamente costruita per le lunghe gare di resistenza di quei campionati, come le comuni gare da 200 miglia e tutti intuirono che sarebbe stata la vettura da battere dopo la vittoria nella 12 Ore di Sebring, uno dei più difficili tracciati del Nord America
Mentre l'auto veniva sviluppata Jim Hall poté implementare le sue teorie sul carico aerodinamico sul bilanciamento grazie alla trazione posteriore. In più la Chaparral seconda serie poteva contare sull'innovativo utilizzo della fibra di vetro come elemento strutturale. Furono tuttavia costruite anche auto con il normale telaio in alluminio. Classificare tutte le varianti della serie 2 è abbastanza difficile, dato che le nuove idee sull'aerodinamica venivano testate di continuo.
La 2A che aveva un avantreno affusolato per offrire meno resistenza all'aria e una coda quadrata concava. Molto presto il team dovette correggere un problema che vedeva proprio l'avantreno divenire troppo leggero alle alte velocità con gravi conseguenze per la precisione da applicare al volante. Alcune appendici aerodinamiche erano già presenti sul modello 2, mentre altri ritocchi aerodinamici, come spoiler anteriori e posteriori e prese d'aria laterali, furono aggiunti in seguito.
La denominazione 2B non fu mai adottata dalla Chaparral per non generare confusione tra le sue vetture e una coppia di vetture sperimentali assemblata dalla Chevrolet nel 1964, derivate dalla showcar Corvair Monza GT e sviluppate al Rattlesnake Raceway con il contributo dell'azienda di Hall, battezzate Chevrolet Corvette Grand Sport II (la prima, poi indicata come IIa) e Grand Sport IIb, che funsero da prototipi per quella che sarebbe diventata la Chaparral 2C[4][5][6].
Il nome 2C si riferisce alle auto che possedevano la grande ala posteriore regolabile; essa aveva un angolo d'attacco che poteva essere variato dal pilota: da perfettamente orizzontale per i lunghi rettilinei poteva essere inclinata per aumentare la deportanza nelle curve e in frenata. La regolazione avveniva mediante un pedale, ed era possibile al pilota poiché le 2C montavano il cambio automatico. La 2C aveva un telaio in alluminio progettato dalla Chevrolet e aveva dimensioni minori rispetto alla 2A.
La 2D è stata la variante con abitacolo chiuso della serie 2 (le precedenti erano infatti tutte dotate di carrozzeria barchetta), realizzata per le gare di durata del 1966. Come propulsore usava un V8 Chevrolet da 5,3 litri e 420 CV di potenza che era collegato alle ruote posteriori tramite un cambio Chaparral automatico a due rapporti[7]. L'impianto frenante era formato da quattro freni a disco, mentre le sospensioni erano composte da doppi bracci trasversali, molle elicoidali coassiali sugli ammortizzatori e barre stabilizzatrici nella sezione anteriore e da bracci trasversali inferiori invertiti, molle elicoidali coassiali sugli ammortizzatori e barre antirollio in quella posteriore. Il telaio era del tipo semi-monoscocca in fibra di vetro con rinforzi in acciaio ed era ricoperto da una carrozzeria in fibra di vetro. In quell'anno vinse la 1000 km del Nürburgring, guidata da Phil Hill e Joakim Bonnier. Sempre in quello stesso anno partecipò alla 24 Ore di Le Mans, ma fu costretta al ritiro dopo 111 giri.[8]
La 2E si basava sul telaio Chevrolet in alluminio della 2C e presentava le teorie di Jim Hall sull'aerodinamica al campionato CanAm del ‘66. La 2E divenne praticamente la base per tutte le vetture da competizione costruite da allora. L'anteriore era differente: i radiatori erano stati spostati dalla loro posizione centrale a due grandi condotti posti lateralmente all'abitacolo; dal posteriore della vettura emergeva una grande ala che poggiava direttamente sulle sospensioni. L'ala era come quella di un aeroplano, ma aveva il profilo rovesciato per creare deportanza ed era ancorata ai mozzi per caricare ulteriormente di peso gli pneumatici e garantire migliore aderenza in curva. Un condotto poi faceva passare l'aria attraverso il cofano e sopra la vettura, generando un'ulteriore deportanza. Il pedale che consentiva il controllo dell'angolo di apertura dell'ala era al posto del pedale della frizione nelle normali auto con cambio manuale. Oltre che per regolare l'ala, il pedale agiva anche sul condotto dell'aria: per i rettilinei, premendolo, il condotto veniva chiuso e la resistenza all'avanzamento diminuiva. Quando il pedale era del tutto rilasciato, al contrario, il condotto si apriva e l'ala posteriore si angolava per offrire la massima deportanza. Il design era molto innovativo, ma ben presto l'ali regolabili vennero vietate dalla FIA e quindi Jim Hall dovette ripiegare su un'ala fissa non regolabile. Nel giro di pochi anni ogni vettura da competizione, persino le Formula 1, avrebbe montato alettoni su lunghi ammortizzatori, sebbene molti non fossero comparabili a quelli ideati da Hall; i loro cedimenti strutturali, infatti, causarono gravi incidenti che portarono le varie commissioni sportive organizzatrici a limitarne o addirittura vietarne l'uso. La 2E ottenne solo una vittoria a Laguna Seca, guidata da Phil Hill, anche se ciò era in parte dovuto alla potenza del propulsore: Hall decise infatti di mantenere il motore di 5.3 litri Chevrolet in alluminio nella sua sportiva ultraleggera mentre le altre squadre montavano motori da 6 o 7 litri in acciaio, avendo più potenza ma con un maggior peso.
Jim Hall riapplicò le soluzioni aerodinamiche della 2E in alluminio alla 2D col suo telaio in fibra di vetro per la stagione del 1967. Anche la 2F aveva una grande ala che poggiava sulle sospensioni posteriori e una presa d'aria anteriore faceva in modo che la pressione impedisse alle sospensioni di comprimersi alle alte velocità; i radiatori erano spostati sui fianchi come nella 2E. Un motore V8 di 7 litri in alluminio con potenza di 525 cv, costruito dalla Chevrolet rimpiazzava il vecchio 5.3 litri della 2D. Si dimostrò sempre temibile e veloce, anche se la maggiore potenza offerta dal grande propulsore spesso sembrava troppa per la trasmissione automatica che non era stata variata e quindi le rotture erano frequenti. Inoltre, offrendo poco freno motore a causa del cambio automatico a tre velocità con convertitore di coppia, frequentemente presentava problemi ai freni a disco che si surriscaldavano causa l'uso più intenso rispetto alle altre auto a cambio meccanico. Quando i problemi alla trasmissione vennero risolti la 2F andò a conquistare la sua unica vittoria nel luglio del 1967 nel campionato alla BOAC 500 a Brands Hatch, guidata da Phil Hill e Mike Spence. Dopo questa gara la FIA cambiò ancora le regole con una limitazione alla cilindrata che impedì la partecipazione non solo alla 2F, ma anche alla Ford GT40 vincitrice di Le Mans e alla Ferrari 330 P4 vincitrice di Daytona (nella versione 330 P3/4) e di Monza e seconda a Le Mans e Brands Hatch, con conseguente conquista del titolo Costruttori.[9]
La 2G del '67 era un'evoluzione della 2E. Aveva ruote più larghe e un motore 427 Chevrolet in alluminio. La 2G era praticamente alla pari delle altre autovetture in termini di potenza, ma il telaio ultraleggero della 2C era stato spinto oltre il suo limite e fu solo grazie all'abilità di Hall come pilota che la vettura rimase competitiva. Per la stagione 1968 del campionato CanAm vennero montate ruote ancora più larghe, in attesa che la Chaparral 2H fosse pronta per gareggiare. Nel frattempo la carriera di Jim Hall come pilota finiva dopo un violento incidente nel GP di Stardust, sebbene continuò a gareggiare in eventi minori, come la serie Trans Am del settanta, dove schierò delle Chaparral Chevrolet Camaro.
Con la 2H Jim Hall tentò di risolvere un problema relativo alla troppa deportanza generata dagli alettoni che generava a sua volta troppa resistenza. Per essere competitivi, con la 2H costruita nel 1969 per sostituire la 2G, si doveva tendere a ridurre la resistenza più che ad aumentare ulteriormente la deportanza. Tuttavia l'auto si rivelò più lenta delle aspettative, dato che il guadagno in accelerazione e velocità di punta non era talmente elevato da compensare le perdite indotte dalla ridotta trazione nelle curve.
Fra le auto, la più singolare e caratteristica è la 2J. Dotata di un motore Chevrolet V8 da 689 cavalli di potenza con 881 Nm di coppia, in configurazione da qualifica l'auto era in grado di raggiungere la soglia dei 1300 cavalli ma a causa della fragilità dei componenti, la potenza è stata limitata a 1100 cavalli.Il motore è gestito da un cambio semi-automatico a tre rapporti, montava, incassate nella parte posteriore della scocca, due ventole da 43 cm di diametro, alimentate da un motore addizionale da 45 cavalli. Il regolamento del campionato CanAm non imponeva limiti sulla cilindrata totale dei motori, quindi il motore per le ventole, derivato da quelli per motoslitte, poteva essere usato in campionato. Lo scopo delle ventole era risucchiare l'aria dalla parte bassa della vettura per generare deportanza. Questo funzionamento conferiva alla vettura un'aderenza incredibile e aumentava la manovrabilità a tutte le velocità, cosa che non poteva essere ottenuta mediante l'uso di semplici diffusori o alettoni. Dato che la quantità di aria aspirata era sempre costante, la forza deportante che faceva aderire la vettura al suolo non diminuiva neanche alle basse velocità. La vettura montava anche minigonne di plastica che sarebbero state usate anche per la Formula 1 diversi anni dopo, per permettere che l'aria al di sotto della vettura rimanesse intrappolata. Il telaio era del tipo monoscocca in alluminio ricoperto da una carrozzeria in fibra di vetro. L'impianto frenante era costituito da freni a disco forniti dalla Girling, mentre le sospensioni erano formate da doppi bracci trasversali, molle elicoidali coassiali con gli ammortizzatori e barre stabilizzatrici nella sezione anteriore, mentre in quella posteriore erano montati un ponte DeDion, molle elicoidali, ammortizzatori autolivellanti e barre antirollio. La 2J corse nel campionato CanAm e si qualificava spesso prima, con alcuni secondi di vantaggio rispetto alla vettura più veloce, ma non fu mai vittoriosa in gara, perché affetta da problemi meccanici.
Corse solo nella stagione 1970, dopo la quale venne vietata dalla SCCA, sebbene fosse stata approvata dalla stessa SCCA prima del suo esordio. La SCCA decise per il divieto spinta da alcuni team influenti, la McLaren in particolare, in base al fatto che le ventole erano dispositivi aerodinamici mobili già vietati dalla FIA, sin dagli anni della 2E. Arrivarono anche lamentele da parte di alcuni piloti che affermavano che guidando in scia della 2J si rischiava di venire investiti da terriccio e pietre scagliati dalle ventole.[10]
L'idea alla base della 2J fu ripresa in seguito in Formula 1 dalla Brabham, che al Gran Premio di Svezia 1978 dalla Brabham portò in gara la sua BT46B; Niki Lauda, a cui il box volutamente non permise di ottenere la pole position, vinse fin troppo facilmente la gara, ma in seguito alle proteste degli altri concorrenti dal GP successivo venne considerata fuori dal regolamento.
Dopo aver visto il bando della sua 2 J alla fine del 1970, Chaparral cominciò a mostrare interesse per le gare riservate alle monoposto, portando in pista vetture Lola sia in Formula 5000 a partire dal 1974 con Brian Redman, che nella serie CanAm per monoposto "ricarrozzate" rinata nel 1977, per poi iscrivere al campionato USAC del 1978 una Lola T500-Cosworth DFX per Al Unser, che in quella stagione vinse la prestigiosa 500 miglia di Indianapolis, nonché le 500 miglia disputate all'Ontario Motor Speedway e a Pocono. L'azienda si unì poi alla CART (in seguito noto come Indycar), campionato rivale dell'USAC, per il 1979 e l'iscrizione alla 500 miglia di Indianapolis del 1979 (evento organizzato invece dall'USAC) fu ottenuta solo per vie legali.
La Chaparral portò in pista quell'anno una vettura di propria concezione, la Chaparral 2K spinta anch'essa dall'ormai irrinunciabile Cosworth DFX V8 che forniva 780 CV di potenza con coppia di 475 Nm. Essa era una wing car disegnata dall'inglese John Barnard, lo stesso progettista delle Lola precedentemente impiegate da Hall, che traeva ispirazione dalla Lotus 79 iridata in Formula 1[11]. Il telaio era una monoscocca formata da fogli di alluminio rivettati, mentre le ridotte dimensioni di motore e trasmissione (una Weismann manuale a 4 velocità) permettevano l'uso di pance laterali a tutta lunghezza con minigonne mobili, con i supporti laterali dell'alettone posteriore integrati nelle pance per prolungare i tunnel aerodinamici sottoscocca[11]. L'impianto frenante era costituito da quattro freni a disco ventilati, mentre le sospensioni erano costituite da bracci oscillanti trasversali, molle elicoidali coassiali con gli ammortizzatori e barre antirollio nella sezione anteriore e da doppi bracci trasversali, molle elicoidali coassiali con gli ammortizzatori e barre stabilizzatrici in quella posteriore. Unser si qualificò in prima fila e condusse la gara per 89 dei 200 giri previsti, ma una perdita d'olio dalla trasmissione innescò un incendio che lo fece ritirare al 104º giro.
Dopo il divorzio tra Unser e Hall, per la stagione 1980 la 2K fu affidata senza sostanziali cambiamenti a Johnny Rutherford, che vinse la 500 miglia di Indianapolis e fece suoi sia il campionato nazionale USAC (denominato Championship Racing League), che il campionato CART[12], in quella che fu la migliore annata per la vettura.
Nel 1981 la concorrenza si fece più serrata e Rutherford ottenne solo la vittoria nella gara inaugurale, si ritirò dopo soli 25 giri nella Indy 500 per problemi di alimentazione e fu quinto in classifica finale.
Nel 1982 la vettura era ormai obsoleta e dopo quattro gare incolori il team la sostituì con una March 82C, che ottenne risultati migliori.
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